Alla fine tra fare l'amore e fare la guerra non v'è questa grossa differenza.
Questa particolare lettura dello slogan sessantottino prende spunto addirittura dall'antichità classica: dell'amore s'è sempre scritto, inteso come relazione fra due persone che hanno una relazione nel più stretto senso, ovvero che sono legate da una pratica dialettica costante spesso fatta di contrasti che, come insegna Anassimandro, dallo scontro fra opposti conducono a un'armonia superiore. L'amore, come ogni altro atto creativo, è scontro, anzi, lo scontro più dolce: in questo senso a partire dai lirici greci in molti l'hanno descritto utilizzando metafore di carattere militare e guerresco. Tralasciando Saffo che chiamava in aiuto Afrodite come summachos, è nel mondo romano che questa visione poetica prende piede, nella maggior misura con gli elegiaci, Tibullo e Properzio; Ovidio in maniera diversa.
Nei primi due la dichiarazione di far parte della guerra amorosa va letta biunivocamente insieme al non voler/poter essere parte della guerra vera e propria di Roma. Sappiamo infatti che l'elegia ha come manifesto una precisa scelta di vita che rinnega la guerra e il servizio militare, la carriera politica e il lavoro per invece dedicarsi interamente all'amore o a tutt’altri tipi di vita. Tibullo, poeta alla ricerca di un ideale mondo agreste, associa alla sua scelta di diversità rispetto ai canoni della società un ritiro in compagnia della donna amata in campagna, dove riuscire a vivere in pace e con una condotta semplice e intrisa d'affetto. Invece Properzio più che una antinomia realizza un parallelismo fra la militia reale e la militia amoris perché è bene consapevole che la seconda comporta prove e sofferenze non meno dolorose e dure della prima. Ovidio percorre una strada ancora diversa; nel carme 1,9 degli Amores compie un dettagliato parallelismo fra chi ama e chi è soldato senza antitesi fra i valori elegiaci e quelli chiamiamoli militari, anzi: sia i duces che le bellae puellae richiedono all'uomo al proprio servizio prestanza fisica, che servirà per compiere lunghe ed estenuanti marce in spedizioni militari o per seguire la donna amata ovunque essa andrà, per fare il turno di guardia davanti alla tenda del generale o per aspettare ore davanti alla porta inevitabilmente chiusa della casa dell'amata (il più famoso topos elegiaco, il paraklausithyron), assediata al pari di una grande città. Esattamente come si sorprendono con una sortita notturna i nemici, l'amans allo stesso modo -deliziosa effetto ironico di Ovidio nel paragone- aspetta il sonno dei mariti per entrare in azione. La chiusura è una battuta che sfida gli animi intraprendenti a mettersi alla prova amando.
Il concetto è abbastanza chiaro.
Salto temporale e qualitativo, passiamo alla canzone rock degli ultimi due secoli: World Leader Pretend è una canzone dei R.E.M. del 1989 in cui si citano mortai, muri, barricate e armi per esprimere sensazioni personali, direi psichiche, più che strettamente emotive. L’inizio è sintomatico: I sit at my table and wage war on myself. Questa volta non si tratta esplicitamente d’amore (anche se potrebbe essere), ma i termini militari rappresentano un modo di porsi e di raffigurare per se stessi i rapporti di sé verso il mondo. Questo, più che una descrizione di una relazione in atto, è una riflessione intermedia, dopo gli sconvolgimenti accaduti, che legge bene all’interno della psiche umana. Oppure più semplicemente è come dice il suo stesso autore: “that was me copying Leonard Cohen, using something like military terms to get across a very simple human emotion". Ecco.
Leonard Cohen, gigantesco cantautore e poeta canadese attivo dagli anni Sessanta fino ad ora, ha usato più volte armi e cavalieri e Fidel Castro (sic) per raccontare l’amore. C’è da dire che spesso i complessi metaforici di Cohen si prestano a doppie interpretazioni, come inella celebre First we take Manhattan -che si presta ad almeno tre letture diverse- o in There is a War: gli inviti a partecipare alla guerra possono essere rivolti alla propria amante, ma qualcuno ci legge –senza motivo pensiamo noi– una specie di canzone di protesta sessantottina. I rise up from her arms, she says "I guess you call this love"; I call it service non lascino spazio a dubbi. Interessantissimo, questo service: servizio nel senso di servizio militare, ovvero di un impegno che si è assunto e che va rispettato secondo dei doveri e obblighi a cui bisogna adempiere. Stiamo parlando di un amore, ricordo.
Il protagonista con aria di sfida a partecipare alla guerra (don’t be a tourist) che la partner ha, a detta di Cohen, iniziato, ma da cui si dissocia, infatti there’s a war between the ones who say there’s a war and the ones who say there isn’t, addirittura lui neanche sapeva ci fosse una guerra in corso! Mr. Cohen, antimilitarista, anche in The Captain lancia un paio di bellissimi e dolorosi scorci di amore in tempo di guerra; il soldato morente dice a un suo sottoposto:
There is no decent place to stand/In a massacre/But if a woman take your hand/Go and stand with her/I left a wife in Tennessee/And a baby in Saigon”
Giungiamo ai giorni nostrissimi con un gruppo che ha convinto molto pubblico e molta critica col loro quarto album, del 2007, Boxer. Si tratta dei The National, un quintetto dell’Ohio che suona un indie rock di difficile definizione; di sicuro si distingue per il timbro baritonale del cantante che fa tanto Ian Curtis. Una definizione estemporanea potrebbe essere questa: i National sono degli Interpol dai suoni levigati, con un batterista che fa il lavoro di tre strumenti e un cantante che più che i Joy Division ricorda Bruce Springsteen. Ma venendo alla canzone, Start a War si delinea semplicemente come una invettiva composta e rassegnata rivolta alla compagna/o d’amore con cui le asperità sono al massimo. Anzi, ormai la separazione sta per verificarsi. Il concetto è quello di un “va’, va’ pure, farai scoppiare una guerra, ma io avrò soldi, io mi divertirò ancora”.
Per fermare questo viaggio piuttosto incoerente fra guerra e amore, chiudiamo con la scoppiettante prosaicità ironica di Robert Gawlinski, notorio rocker polacco.
I want to kill you, girl
And slice you with an axe
I want to kill you girl
Because I drink too much
For your tears
My sleepless nights
Your evil love
For your body
Which i never
Had enough
I'll kill you with an axe
[…]
For your empty eyes
Which always greeted me
And for silent sex in a toilet
For your scream
Everyday...
War and Love
Filippo Batisti
-CLAXON-
microwaves, la rubrica di musica
giovedì 19 marzo 2009
I want to kill you with an axe: questo è vero amore!
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