-CLAXON-

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microwaves, la rubrica di musica

sabato 30 maggio 2009

Claxon Family

In fondo trovate i link!!!

-Claxon Family-

La fine della scuola è la fine di molto altro che non passa per le bocche dei diciannovenni che si accingono a superare le ultime paludi prima di passare oltre a più dolci (?) acque: anche per colpa dell'esame e della conseguente diluizione dell'addio alla scuola e ai compagni, si frammenta il momento dell'abbandono e si perde un momento supremo di leaver's blues (anche se a dir la verità la maggioranza di noi in realtà non ne può più di questo luogo e specialmente dei suoi compagni).

Ma visto che noi di Claxon siamo gente di buoni sentimenti e ci vogliamo bene fra noi, mi è piaciuta l'idea di dedicare a ognuno di noi una canzone, su una base assolutamente impersonale come il nome di ciascuno, di battesimo o di famiglia. L'onore del varo al nostro Vincenzone Maccarrone, che da quando è bambino si sente urlare dietro una geniale canzone del cantautore Alberto Fortis, Milano e Vincenzo: questa canzone, nata come sfogo verso un individuato discografico, frutto della rabbia per le meccaniche malate dell'industria dei dischi, contiene versi che tuttavia è impossibile non sottoscrivere riguardo il nostro compagno di redazione (Vincenzo io ti ammazzero'/sei troppo stupido per vivere [...] Vincenzo io ti sparero'
sei troppo ladro per capire [...]) Da notare, anche se francamente orrendo, anche il video della canzone disegnato da Andrea Pazienza. Si passa a una canzone d'amore, dedicata alla speaker canadese più amata dagli italiani, ovvero
Emily Clancy: gli Art Brut canta di tal Emily Kane, fidanzatina dei quindicianni del protagonista, che la ricorda con affetto, nonostante “we didn't understand/ How to do much more than just hold hands”. E' propria una old flame, che al cospetto del turbinio di ragazze successive, fa rimpiangere “the clumsy way we used to kiss”. I suoi amici pensano che sia pazzo, lui, ma affida, da cantor cortese del Duemila, alla sua canzone la speranza di ritrovarla: i want schoolkids on buses singin your name. (Dedica alternativa: Last of the English Roses, Pete Doherty)

Avete sicuramente visto quella ragazza in vestiti colorati e dai grandissimi occhi verdi che zompetta con passo spedito nei corridoi. Bene, tutta il miele che sembra sgorgare dallo sguardo di Maddalena Pasini si trasforma in inchiostro color sangue, quando nell'Idiota del Mese o nella Rubrica Amnesty fa pagare ciò che è dovuto a chi è incorso nelle sue ire. Il songwriter Justin Vernon, in arte Bon Iver, è dovuto scappare tre mesi in una baita del Wisconsin per e prova a riappacificarsi con Sweet, sweet Magdalene.

Sfiliamo dalla libreria degli album per le grandi occasioni una canzone di new wave fascia dark per un ragazza anagraficamente ancora piccola, che potete trovare ciondolare depressa agli intervalli con una carota in mano, una mela in tasca o un sedano in bocca: un ritratto psichedelico a tinte rosso scure di Stella, che fatica a reggersi dopo qualche storia di droghe e dopo essere stata la catatonic sex toy love-joy driver dell'io narrante, Stella was a driver and she was always down, ma gli Interpol ti amano ancora, allegra! (Dedica alternativa: Was?, Verdena).

Segnali di Laura dovunque: i Baustelle cercano “un cuore sul pianeta Terra per sfidare i sogni, per sfidare Dio”. Laura Agnusdei invece è più probabile che cerchi un gruppo da recensire per Local Support o da portare in radio. Francesco Pindaro Bianconi continua a paragonarla a una “grazia estranea agli umani, alle fughe di Bach, alla chimica [...] gioia che afferri un piccolo seno/ bambola di Modigliani”: la Lau scapperà divertita, la canzone si chiama “L”.

Gli Ataris sono un gruppo pop punk relativamente famoso, nel genere (Blink 182 e compagnia) e il loro sotenuto e scatenato minuto e 48 di Clara non è certo quello di Clara Larcher, ovvero l'Anna Moroni de noantri, che diversamente dalla protagonista della canzone non si troverebbe sull'orlo di un ponte, immersa in dolorose immagini del passato, di errori, di relazioni e figli: certo, anche il cantante che finisce col dire oh beh, allora se è questo che vuoi ti spingo io di sotto può non aiutare.

Avremmo potuto essere banali e puntare sui Beatles (Anna, Go to Him), ma ci pare più azzeccata la storia del barbuto e interessante duo americano Two Gallants, epigoni di Johnny Cash e Neil Young: Anna's Sweater, la felpa di Anna, intravista per un attimo sulla strada 22 dà luogo a riflessioni molto più ampie in arpeggi acustici. Se si parla di vestiti coloratissimi e appariscenti, avrete già capito che parliamo di Anna Merlini, l'anna (minuscola) a cui alcuni di voi hanno confidato le proprie pene d'amore in questi anni, la fata dei fiori con la passione per la fotografia e la buona musica e, non dimentichiamolo, la Regina della Movida Minghettiana del 2008-09, in quanto eletta al Comitato Feste!
Quest'anno Claxon ha guadagnato un giovane intraprendente. Anzi, esuberante, dalla passione
infinita, un po' come i suoi articoli. Sapete che parlo di Francesco Coral Soares, detto Sorry, sul cui nomignolo a dir poco abbondano le canzoni: evitando Madonna, propongo una doppia dedica (proporzionata agli articoli, no?) dei R.E.M.: South Central Rain (I'm Sorry) e la più recente The Apologist.

Purtroppo il nome di alcuni non ha rappresentanti musicali né numerosi né famosi: la Colombo dei Baustelle è un inno alla decadenza dell'Occidente, e non so quanto il nostro cronista in senso stretto, l'uomo-Obama, il vecchio gentiluomo del Sud, colui che detiene il maggior numero di prime pagine di Claxon consecutive e non, Marco Colombo possa esserne soddisfatto, ma se ne accontenti! Altrettanto si può dire per l'altro Marco, anzi, Marco L'Altro, ovvero lo Zoomer più preciso e fedele dell'anno, colui che ha raccolto l'eredità di Lorenzo Piccinini sia come, appunto, curatore di Zooms, sia come sex symbol del Minghetti, il veterocomunista quasi più vetero che comunista: parliamo di Marco Antonioli, al quale dedichiamo con affetto Antonio's Song, un soul-jazz stracciamutande -pardon, delicato- a opera del songwriter americano Michael Franks. Un altro grande amico di Claxon, Lorenzo Pedretti, dovrà perdonarci per la scelta infelicissima, ma il suo soprannome con cui firma anche gli articoli, gli è costato questa trista associazione di idee: Notti Magiche, colonna sonora di Italia '90, cantata da Bennato e Gianna Nannini, é la sua canzone: non è colpa nostra se il suo soprannome è Pizzul. Una pensiero alla presenza costante ma silenziosa di Silvia Cavedoni, le cui ormai classiche P@gine Leggere saranno celebrate dai Weezer, con Simple Pages. Per Lorenzo Tabarrini, il rappresentante d'Istituto più festeggiato dell'anno, cade a fagiolo una canzone di non-compleanno dei NOFX :happy fucking birthday, you're not special, you're not special, you're gettin older and not much better.

Infine per ultimo, nell'angolo dell'impaginatore, sta l'autore, il musicografo più prolisso e contorto degli ultmi anni, che si sceglie un classicone di Rita Pavone: Pippo non lo sa/ ma quando passa, ride tutta la città/ e le sartine/ dalle vetrine/ gli fan mille mossettine/ Ma lui con grande serietà/ saluta tutti, fa un inchino e se ne va.


Filippo Batisti



http://www.youtube.com/watch?v=_y8mP71ZILQ Vincenzo io t'ammazzerò

http://www.thankscaptainobvious.net/2008/12/bon-iver-blood-bank-ep-2009.html
Sweet sweet Magdalene

http://www.youtube.com/watch?v=YtigpB7q2LI Stella was a driver and she was always down

http://www.youtube.com/watch?v=JIhr9B1TYFE Antonio's Song

http://www.youtube.com/watch?v=qRnaS2RsonI Pippo non lo sa

http://www.youtube.com/watch?v=iDNsJnabv-E Clara

http://www.youtube.com/watch?v=uvA0UBesfbY Emily Kane
http://www.youtube.com/watch?v=qjIO-AJlFoU The Last of the English Roses

http://www.youtube.com/watch?v=B-J5LepnXs4 Anna's Sweater

http://www.youtube.com/watch?v=ZD2R7G3z6WU South Central Rain (I'm Sorry)
http://www.youtube.com/watch?v=SqUDV_Klg30 The Apologist

http://www.youtube.com/watch?v=HifUz7SUBcA Colombo
http://www.youtube.com/watch?v=aG_-NB6rkOE Notti magiche

http://www.youtube.com/watch?v=eR0YNYLmves Simple Pages

http://www.youtube.com/watch?v=gCzEMoz2c_s Happy birthday

giovedì 19 marzo 2009

I want to kill you with an axe: questo è vero amore!

Alla fine tra fare l'amore e fare la guerra non v'è questa grossa differenza.
Questa particolare lettura dello slogan sessantottino prende spunto addirittura dall'antichità classica: dell'amore s'è sempre scritto, inteso come relazione fra due persone che hanno una relazione nel più stretto senso, ovvero che sono legate da una pratica dialettica costante spesso fatta di contrasti che, come insegna Anassimandro, dallo scontro fra opposti conducono a un'armonia superiore. L'amore, come ogni altro atto creativo, è scontro, anzi, lo scontro più dolce: in questo senso a partire dai lirici greci in molti l'hanno descritto utilizzando metafore di carattere militare e guerresco. Tralasciando Saffo che chiamava in aiuto Afrodite come summachos, è nel mondo romano che questa visione poetica prende piede, nella maggior misura con gli elegiaci, Tibullo e Properzio; Ovidio in maniera diversa.
Nei primi due la dichiarazione di far parte della guerra amorosa va letta biunivocamente insieme al non voler/poter essere parte della guerra vera e propria di Roma. Sappiamo infatti che l'elegia ha come manifesto una precisa scelta di vita che rinnega la guerra e il servizio militare, la carriera politica e il lavoro per invece dedicarsi interamente all'amore o a tutt’altri tipi di vita. Tibullo, poeta alla ricerca di un ideale mondo agreste, associa alla sua scelta di diversità rispetto ai canoni della società un ritiro in compagnia della donna amata in campagna, dove riuscire a vivere in pace e con una condotta semplice e intrisa d'affetto. Invece Properzio più che una antinomia realizza un parallelismo fra la militia reale e la militia amoris perché è bene consapevole che la seconda comporta prove e sofferenze non meno dolorose e dure della prima. Ovidio percorre una strada ancora diversa; nel carme 1,9 degli Amores compie un dettagliato parallelismo fra chi ama e chi è soldato senza antitesi fra i valori elegiaci e quelli chiamiamoli militari, anzi: sia i duces che le bellae puellae richiedono all'uomo al proprio servizio prestanza fisica, che servirà per compiere lunghe ed estenuanti marce in spedizioni militari o per seguire la donna amata ovunque essa andrà, per fare il turno di guardia davanti alla tenda del generale o per aspettare ore davanti alla porta inevitabilmente chiusa della casa dell'amata (il più famoso topos elegiaco, il paraklausithyron), assediata al pari di una grande città. Esattamente come si sorprendono con una sortita notturna i nemici, l'amans allo stesso modo -deliziosa effetto ironico di Ovidio nel paragone- aspetta il sonno dei mariti per entrare in azione. La chiusura è una battuta che sfida gli animi intraprendenti a mettersi alla prova amando.
Il concetto è abbastanza chiaro.
Salto temporale e qualitativo, passiamo alla canzone rock degli ultimi due secoli: World Leader Pretend è una canzone dei R.E.M. del 1989 in cui si citano mortai, muri, barricate e armi per esprimere sensazioni personali, direi psichiche, più che strettamente emotive. L’inizio è sintomatico: I sit at my table and wage war on myself. Questa volta non si tratta esplicitamente d’amore (anche se potrebbe essere), ma i termini militari rappresentano un modo di porsi e di raffigurare per se stessi i rapporti di sé verso il mondo. Questo, più che una descrizione di una relazione in atto, è una riflessione intermedia, dopo gli sconvolgimenti accaduti, che legge bene all’interno della psiche umana. Oppure più semplicemente è come dice il suo stesso autore: “that was me copying Leonard Cohen, using something like military terms to get across a very simple human emotion". Ecco.
Leonard Cohen, gigantesco cantautore e poeta canadese attivo dagli anni Sessanta fino ad ora, ha usato più volte armi e cavalieri e Fidel Castro (sic) per raccontare l’amore. C’è da dire che spesso i complessi metaforici di Cohen si prestano a doppie interpretazioni, come inella celebre First we take Manhattan -che si presta ad almeno tre letture diverse- o in There is a War: gli inviti a partecipare alla guerra possono essere rivolti alla propria amante, ma qualcuno ci legge –senza motivo pensiamo noi– una specie di canzone di protesta sessantottina. I rise up from her arms, she says "I guess you call this love"; I call it service non lascino spazio a dubbi. Interessantissimo, questo service: servizio nel senso di servizio militare, ovvero di un impegno che si è assunto e che va rispettato secondo dei doveri e obblighi a cui bisogna adempiere. Stiamo parlando di un amore, ricordo.
Il protagonista con aria di sfida a partecipare alla guerra (don’t be a tourist) che la partner ha, a detta di Cohen, iniziato, ma da cui si dissocia, infatti there’s a war between the ones who say there’s a war and the ones who say there isn’t, addirittura lui neanche sapeva ci fosse una guerra in corso! Mr. Cohen, antimilitarista, anche in The Captain lancia un paio di bellissimi e dolorosi scorci di amore in tempo di guerra; il soldato morente dice a un suo sottoposto:
There is no decent place to stand/In a massacre/But if a woman take your hand/Go and stand with her/I left a wife in Tennessee/And a baby in Saigon”
Giungiamo ai giorni nostrissimi con un gruppo che ha convinto molto pubblico e molta critica col loro quarto album, del 2007, Boxer. Si tratta dei The National, un quintetto dell’Ohio che suona un indie rock di difficile definizione; di sicuro si distingue per il timbro baritonale del cantante che fa tanto Ian Curtis. Una definizione estemporanea potrebbe essere questa: i National sono degli Interpol dai suoni levigati, con un batterista che fa il lavoro di tre strumenti e un cantante che più che i Joy Division ricorda Bruce Springsteen. Ma venendo alla canzone, Start a War si delinea semplicemente come una invettiva composta e rassegnata rivolta alla compagna/o d’amore con cui le asperità sono al massimo. Anzi, ormai la separazione sta per verificarsi. Il concetto è quello di un “va’, va’ pure, farai scoppiare una guerra, ma io avrò soldi, io mi divertirò ancora”.
Per fermare questo viaggio piuttosto incoerente fra guerra e amore, chiudiamo con la scoppiettante prosaicità ironica di Robert Gawlinski, notorio rocker polacco.

I want to kill you, girl
And slice you with an axe
I want to kill you girl
Because I drink too much

For your tears
My sleepless nights
Your evil love
For your body
Which i never
Had enough

I'll kill you with an axe
[…]
For your empty eyes
Which always greeted me
And for silent sex in a toilet
For your scream

Everyday...
War and Love

Filippo Batisti